Dogen Zenji, colui a cui si fa risalire la Scuola Zen Soto, nel suo Fukanzazengi parla della mente paragonandola al Drago, mitico animale della cultura cinese e giapponese.
Scrive in due punti: “Zazen non consiste nell’apprendere a meditare [nell’apprendere lo zen]. Semplicemente è la porta reale della pace e della gioia, è la pratica avverata che arriva alla pienezza del risveglio. Il presente si fa presente con evidente profondità, qui non arriva la ragnatela dei condizionamenti e delle illusioni. Se qui trovi dimora, è come il drago che trova l’acqua ….. […] Questa è la mia preghiera: che coloro i quali compongono la nobile corrente dei praticanti, avendo a lungo imparato a tastoni attraverso imitazioni, non disdegnino ora il vero drago.” La traduzione è del Maestro Forzani.
Il Drago è un animale presente in quasi tutti i Templi Zen del Giappone, più di ogni altro. Ci sarà un motivo per cui viene utilizzato un animale così fantastico, capace delle imprese più impossibili. Ma per poter fare ciò, deve essere addestrato.
Questo non può essere fatto con coercizione, perché altrimenti si ribellerà; allo stesso modo è per la nostra mente.
Non possiamo costringere la mente ad acquietarsi, bisogna che ciò avvenga con la necessaria calma, attraverso un lavoro paziente e costante attraverso la pratica della meditazione. Solo tramite una lenta trasformazione potremo gradualmente tornare alla nostra mente originaria, così come il Drago torna al suo elemento d’origine, all’acqua.
Solo attraverso l’esperienza pratica e non teorica della pratica, potremo vedere le cose nella loro interezza, grazie allo sviluppo di una mente non giudicante, che non ci faccia più essere come quei ciechi che a tastoni cercavano di capire cose fosse l’elefante, ma come un Drago che vede ben oltre se stesso.