Nella vita, tutti aneliamo a essere felici. Ormai ci sono molti libri e tantissimi insegnanti che vogliono aiutare le persone a raggiungere questo obiettivo. Ma, nonostante ciò l’infelicità continua ad albergare nei nostri cuori.

Questo potrebbe lasciar pensare che non si stia centrando l’obiettivo, che tutto questo sia un fallimento. In realtà non è così. Noi siamo convinti che essere felici voglia dire non avere sofferenza. Al contrario, l’arte di essere felici è anche l’arte di saper soffrire bene, di abbracciare con consapevolezza la propria sofferenza e trasformarla in felicità.
Ci piace immaginare che possa esistere un mondo senza sofferenza fatto solo di felicità. Ma questo è impossibile. L’una non può esistere senza l’altra, come la luce non può esistere senza il buio.

Il problema più grande della civiltà moderna è che non sappiamo come gestire la sofferenza, nessuno ce lo insegna. Eppure, sarebbe ormai da insegnare anche nelle scuole dato che molte sofferenze e tormenti interiori arrivano già in giovane età.

Al contrario, quel che facciamo è cercare di riempire il vuoto generato dalla sofferenza, procurandoci una miriade di rimedi e dispositivi che ci vengono offerti dal mercato come palliativi.

La consapevolezza è invece il modo per sconfiggere la sofferenza. La consapevolezza è la capacità di essere presenti nel qui e ora in piena coscienza. Ad esempio, se bevo un bicchiere d’acqua o faccio pulizie di casa, la mente è con il bere il bicchiere d’acqua o col fare le pulizie di casa, senza alcun pensiero rivolto al passato o al futuro.
Con la consapevolezza saremo in grado di riconoscere la sofferenza che risiede dentro di noi, di abbracciarla e andare oltre.

Il primo modo per iniziare ad essere consapevoli è lavorare sul proprio respiro. Diamo piena attenzione al nostro respiro, all’inspirazione ma principalmente all’espirazione. Respirando in questo modo creiamo unità tra corpo e mente, ritornando ad essere pienamente vivi. Così riusciremo, col tempo e con la pratica, a riconoscere le tensioni, il dolore, lo stress del nostro corpo e capire se siamo abbastanza gentili con noi stessi.

Prendiamo esempio dal Buddha, che una volta raggiunta l’illuminazione ha proseguito e reso sempre più intensa la sua pratica.

Domandiamoci il perché di questa scelta.

Il Buddha sapeva che l’impermanenza è in tutte le cose, quindi anche nella felicità.
Qualsiasi cosa, senza il giusto nutrimento, muore. Anche la felicità deve essere nutrita continuamente, così come un fiore va coltivato quotidianamente.
Attraverso la pratica della meditazione zen zazen impariamo a coltivare attraverso pochi e semplici passi la nostra felicità e la nostra consapevolezza.

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