Nel buddhismo da sempre si parla dei semi della mente, detti in sanscrito Klesha. In ognuno di noi sono presenti molteplici semi, generati da quello che è il nostro vissuto.
Questi semi, una volta piantati e cresciuti, hanno il potere di condizionare le nostre azioni, il nostro modo di agire e di essere.
Sono questi che ci “fanno” così come siamo. L’erronea convinzione è che siamo così e non possiamo cambiare.
Eppure, in tutti i campi, è possibile cambiare le coltivazioni, creando spazio per nuove colture anche tagliando via gli alberi.
Lo stesso possiamo farlo con la nostra coscienza: impariamo a piantare nuovi semi, grazie alla costante pratica.
Basta iniziare a cambiare il nostro punto di vista, alimentare quelle che sono le cose positive che sono dentro di noi.
Se prestiamo attenzione solo a ciò che dentro di noi c’è di negativo, ad esempio rimuginiamo sulle ferite del passato, o su ciò che avremmo voluto o desiderato fare, allora stiamo nutrendo dei semi negativi di astio, rabbia e rancore. Ci stiamo solo crogiolando nei nostri dolori e piangendoci addosso. Stiamo creando da soli il nostro inferno.
Al contrario, dobbiamo innaffiare le qualità positive che sono dentro di noi. Ad esempio, se iniziamo a praticare la compassione in consapevolezza, il suo seme diverrà giorno dopo giorno più forte. Diventerà col tempo una potente energia.
Praticando la compassione, il suo germoglio crescerà fino a diventare così grande da non lasciare spazio ai semi negativi.
Questo vuol dire che non bisogna combattere le nostre accezioni negative, ma imparare a coltivare quelle positive.
Grazie alla pratica della consapevolezza, riusciamo gradualmente a riconoscere i semi da coltivare e quelli da abbandonare. Tale modo di agire non significa che ignoriamo la sofferenza, ma che permettiamo ai semi positivi di sconfiggerla, imparando a prendere il meglio di noi.